Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il
Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei
volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di
conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e
sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta
serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della
Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della
capitale del Mondo cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di
governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri
canoni fondati sullo spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario
assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e
introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad
associare ed a confondere con la Chiesa cattolica tutte le superstizioni e le sette.
Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse
per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa,
dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati
da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica,
che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri
argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta
realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che
garantisce al capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere
spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo
" (Lett. Apost. 10
Giugno 1809).
Seguendo dunque questo modo di sentire, che abbiamo costantemente manifestato in
parecchie Nostre allocuzioni, rispondendo al re, disapprovammo le sue ingiuste
pretese in modo tuttavia da mostrare il Nostro acerbo dolore insieme al Nostro
paterno affetto che non può fare a meno di preoccuparsi neppure per i figli che
imitano il ribelle Assalonne. Questa lettera non era ancora stata portata al re, quando
nel frattempo dal suo esercito furono occupate le città finora intatte e tranquille del
Nostro Stato Pontificio, mentre venivano facilmente sconfitte le milizie ausiliarie
dove tentavano di opporre resistenza; e poco dopo sorse quel funesto giorno che fu il
20 Settembre scorso; giorno nel quale vedemmo questa Città, sede principale degli
Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di molte genti, assediata da molte
migliaia di armati; e mentre si faceva breccia nelle sue mura e si spargeva il terrore
con continuo getto di proiettili, fummo addolorati di vederla espugnata per comando
di colui che poco prima tanto nobilmente aveva dichiarato di essere animato da
affetto filiale per Noi e da fedele sentimento religioso.
Che cosa può essere più funesto di quel giorno per Noi e per tutte le anime buone? Di
quel giorno nel quale, entrate le milizie in Roma che era piena di una moltitudine di
stranieri sediziosi, vedemmo immediatamente sconvolto e rovesciato l’ordine
pubblico, vedemmo insultata empiamente nella Nostra umile persona la dignità e
santità del Sommo Pontificato, vedemmo le fedelissime coorti dei Nostri soldati
insultate in tutti i modi, vedemmo dominare dappertutto sfrenata insolente libertà, là