importante: quelle che coltivano le scienze de’ fatti e della memoria da
quelle che coltivano le arti le quali principalmente spettano
all’intelletto ed al sentimento (…). Dico dunque che le accademie della
prima specie sono utili, ma quelle della seconda hanno tali
inconvenienti ch’è difficilissimo che lo sieno.”
Alla
prima specie
definita dal Verri appartiene fin dalla nascita
l’Accademia dei Lincei, che sopravvisse per pochi anni alla sua
fondazione, nel 1603, in via della Maschera d’Oro, a Roma.
Parlando a Napoli nel 1616, alla presenza di Galileo, Del natural
desiderio di sapere et institutione dei Lincei per l’adempimento di
esso
4
, il suo fondatore, Federico Cesi, guarda lontano con
straordinario acume
5
, e disegna il manifesto ideale dell’Accademia
dei Lincei:
una congregazione, un seminario, un ridotto o vero ritirata
di professori, scrittori e sperimentatori in filosofia e matematic
particolarmente, (…) ben unita e fondata nell’amore de’ collegi tra di
loro e di tutti e ciascuno verso la sapienza (…). E così, invigorita la
parte dell’huomo, facilitata quella delle discpline, si moltiplichi sempre
più il numero de’ dotti e ne venga con l’humana perfettione adempito il
natural desiderio di sapere.
Due secoli e mezzo più tardi, dopo la Breccia di Porta Pia ed il voto
popolare del 2 ottobre 1870,
l’Accademia, per invito verbale della
nazione italiana sia la prima del mondo. Chi può annoverare gli Accademici Oziosi,
Indomiti, Inquieti, Della Notte, Del Piacere, Sizienti, Sonnolenti, Torbidi,
Addormentati, Della Chiave, Umidi, Infocati, Infernali, Lunatici, Caliginosi,
Insensati, Della Notte Vaticana, Ombrosi, Famosi, Muti ecc.?
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Federico
Cesi, Del natural desiderio di sapere et institutione de’ Lincei per
adempimento di esso, in
M.L.Altieri Biagi – B.Basile
(a cura di), Scienziati del
Seicento, Milano-Napoli, 1980, pp.39-70;
Federico Cesi
, Opere scelte, a cura di
Carlo Vinti, Antonio Allegra,
Effe, Perugia, 2003, pp. 17-51.
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Il testo di Cesi ha ancora oggi una sorprendente attualità con riferimenti
espliciti a questioni attuali, anticipando lucidamente, ad esempio, alcune delle
critiche odierne all’insegnamento superiore:
“Dobbiamo anco osservare che
l’istessa laurea, instituita già per ornare il compimento delle scienze e venir perciò
ad esso incita do, me tre si v de che indifferentemente corona tutti quelli che
finiscono il corso senza riguardo alcuno né dell’arrivare né del zoppicare o andar
dritto, viene a porre mèta e termino, ordinariamente, alle studiose fatighe di
ciascheduno, o perché non creda che vi resti altro che sapere, o perché non veda
altro grado d’approbatione in letteratura che, se fatiga più oltre, lo dichiari
maggiore di quelli che in esso si contentano fermarsi. Così il dottorato suole a molti
troncar la via del sapere di maniera che, non pur per insegnare ad altri, ma
nemeno sappiano per se stessi, se però non vogliano che il sapere sia l’intendere
quelli belli termini che sì spesso s’intonano nelle scuole.”
(l. c. p. 29).