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Alcina di Haendel

haendel_alcina_venezia_1960_1Nel 1960, grazie alla rappresentazione dell’Alcina di Georg Friedrich Haendel presso il Teatro La Fenice di Venezia, scocca l’ora della riscoperta del melodramma barocco, totalmente avulso dalle preoccupazioni realistiche del romanticismo: in questa occasione Franco Zeffirelli si rivela precursore e maestro. Richard Bonynge, direttore d’orchestra e consorte del soprano australiano Joan Sutherland (al suo debutto in Italia), insiste perché la cantante prepari con il regista italiano un’opera sconosciuta di Haendel, Alcina: uno statico melodramma del 1735, vagamente ispirato ad alcuni personaggi dell’Orlando furioso di Ariosto, nel quale gli incantesimi della protagonista, che risolve tutto o quasi con un colpo di bacchetta, trovano il loro corrispettivo nella scrittura vocale, fantasmagorica e impervia come poche.

Zeffirelli affronta la questione della teatralità di quest’opera, producendo uno scintillante esempio di spettacolo barocco e inventando una presentazione fiabesca: su una grande terrazza a gradini di marmo bianco un principe offre ai suoi invitati (diciotto ballerini) un grande divertissement con la più insigne primadonna del momento. «Rischiammo di non andare in scena» - ricorda Zeffirelli - «perché Anna Anni, travolta dalle centinaia di costumi meravigliosi a cui stava lavorando, si era semplicemente dimenticata dei costumi della protagonista! La dovetti chiudere a chiave in sartoria per due notti!»

L’Alcina veneziana conferma trionfalmente il trend della ricostruzione settecentesca in tutti i suoi elementi, che si oppongono a duecento anni di cultura romantica. L’accompagnatore al clavicembalo, ben visibile a tutti, è Bonynge in persona, che indossa un costume d’epoca, con parrucca bianca, calzoni al ginocchio e calze di seta. L’azione ariostesca si svolge su una tavola rotante che gira e si schiude, rivelando la possente maga Alcina, posta su un trono che sorge da una roccia tutta di diamanti. Alcina-Joan è un’incantatrice preziosa, avvolta in veli e broccati, con diademi che pochi gesti bastano a far scintillare, e si muove pigramente tra gigantesche cornucopie di frutti e conchiglie spalancate, di chiaro simbolismo erotico.

Lo spettacolo, infine, prevede un ulteriore tocco «eretico»: al termine dell’opera la Sutherland viene al proscenio e intona un’aria pirotecnica, tratta da un oratorio di Haendel, il Samson, ponendo in luce un virtuosismo davvero trascendentale, premiato dagli applausi scroscianti e interminabili del pubblico.

di Gina Guandalini

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Joan Sutherland canta Alcina