Zeffirelli affronta la questione della teatralità di quest’opera, producendo uno scintillante esempio di spettacolo barocco e inventando una presentazione fiabesca: su una grande terrazza a gradini di marmo bianco un principe offre ai suoi invitati (diciotto ballerini) un grande divertissement con la più insigne primadonna del momento. «Rischiammo di non andare in scena» - ricorda Zeffirelli - «perché Anna Anni, travolta dalle centinaia di costumi meravigliosi a cui stava lavorando, si era semplicemente dimenticata dei costumi della protagonista! La dovetti chiudere a chiave in sartoria per due notti!»
L’Alcina veneziana conferma trionfalmente il trend della ricostruzione settecentesca in tutti i suoi elementi, che si oppongono a duecento anni di cultura romantica. L’accompagnatore al clavicembalo, ben visibile a tutti, è Bonynge in persona, che indossa un costume d’epoca, con parrucca bianca, calzoni al ginocchio e calze di seta. L’azione ariostesca si svolge su una tavola rotante che gira e si schiude, rivelando la possente maga Alcina, posta su un trono che sorge da una roccia tutta di diamanti. Alcina-Joan è un’incantatrice preziosa, avvolta in veli e broccati, con diademi che pochi gesti bastano a far scintillare, e si muove pigramente tra gigantesche cornucopie di frutti e conchiglie spalancate, di chiaro simbolismo erotico.
Lo spettacolo, infine, prevede un ulteriore tocco «eretico»: al termine dell’opera la Sutherland viene al proscenio e intona un’aria pirotecnica, tratta da un oratorio di Haendel, il Samson, ponendo in luce un virtuosismo davvero trascendentale, premiato dagli applausi scroscianti e interminabili del pubblico.