Alla fine degli anni ’60 Luca Ronconi decide di mettere mano ad una trasposizione teatrale dell’Orlando furioso.
Con il suo insistere sui temi della pazzia per amore, il Furioso sembra offrire a Ronconi un materiale acconcio alle sue più genuine corde espressive; più ancora che all’argomento, però, l’interesse del regista per l’opera d’Ariosto sembra legato alle possibilità di sperimentazione linguistica che il poema gli offre. Trasposta in teatro, la tecnica narrativa dell’entrelacement consente a Ronconi di realizzare, attraverso l’utilizzo sistematico di narrazioni simultanee, quella decostruzione delle convenzioni del racconto teatrale classico che egli persegue sin dai suoi primi spettacoli, spesso realizzati operando su drammaturgie ad azione multipla.
Ronconi, per “ridurre” a una dimensione teatrale lo sterminato poema d’Ariosto, si rivolge a Edoardo Sanguineti. Il regista era stato profondamente colpito dalla lettura del Giuoco dell’oca (1967) sanguinetiano, che destruttura il romanzo classico in un arbitrario catalogo di centoundici case-capitoli, da giocare, più che da leggere, sulla plancia-mondo disegnata da Gianfranco Baruchello. E dunque, eleggendo a proprio Dramaturg Sanguineti, Ronconi punta, col suo Orlando furioso, a una drammaturgia non sviluppata linearmente, ma dispersa su di un piano in cui più azioni, indipendenti l’una dall’altra, possano coesistere sviluppandosi in simultaneità.
Mentre Ronconi si interroga sulla geografia ideale del poema d’Ariosto, Sanguineti seleziona gli episodi topici (l’incipit in fuga per i boschi, il romanzo di Olimpia e Bireno, il castello di Atlante, la battaglia di Parigi, l’idillio di Angelica e Medoro...), e distilla dalle ottave ariostesche la propria drammaturgia, agendo sulla coniugazione del racconto.
Orlando furioso debutta a Spoleto il 4 luglio 1969, al XII Festival dei Due Mondi. Nella chiesa di S. Nicolò, Uberto Bertacca costruisce due boccascena di teatri all’italiana; gli spettatori sono liberi di muoversi nello spazio come meglio credono. Il pubblico del Festival è conquistato dallo spettacolo, e l’entusiasmo si estende rapidamente anche all’estero.
Nel 1974 la ricorrenza del quinto centenario della nascita di Ariosto è l’occasione per una riesumazione mediatica dello spettacolo. Su commissione della RAI, Ronconi pone mano ad una versione televisiva della sua messa in scena, articolata in cinque puntate, trasmesse sul primo canale tra il febbraio e il marzo 1975.
Fedele all’approccio “ironico” all’“ironico” meraviglioso ariostesco già sperimentato in teatro, Ronconi decide di affidarsi al realismo televisivo anziché sfruttare le potenzialità della post-produzione. E così, se in piazza il Furioso era apparso un labirintico intreccio di cantari popolareggianti, in TV si presenta come recita di corte stilizzata e ad un tempo ingenua, in cui il favoloso del poema è ricondotto alla realistica misura di un’epopea casalinga, rinchiusa com’è tra le quattro pareti di un interno ed affidata, per la sua messa in scena, a macchine teatrali incapaci di generare nello spettatore un autentico senso del prodigioso.